Fumaiolo Sentieri

tra Sport e Natura

Il comune di Verghereto e il Monte Fumaiolo

Il territorio del comune di Verghereto è fortemente caratterizzato dalla presenza del Monte Fumaiolo, che grazie ai suoi boschi di faggi centenari e di abeti, ai panorami mozzafiato che si possono godere dalle sue alture, e alle sorgenti del Tevere e del Savio, è da sempre meta di viaggiatori e di turisti. Situato sullo spartiacque tra Romagna e Toscana il Fumaiolo, con i suoi 1.407 metri di altitudine, è la vetta più alta dell’Appennino cesenate e da sempre segna il confine geografico tra il centro e il nord Italia.

Questa zona di montagna ha anche rappresentato spesso il confine politico tra i diversi stati, ducati e granducati che si sono succeduti durante le passate epoche storiche. In epoca medievale la zona del Fumaiolo era costellata di castelli e rocche fortificate; come la Faggiola Vecchia nei pressi di Capanne, Castelvecchio tra Riofreddo e Montecoronaro, a poca distanza dalla sorgente del Savio, la Rocca del Còtolo nei pressi delle Balze e il Castellaccio, che sovrastava l’antica Abbazia del Trivio, vicino alle Ville di Montecoronaro. Questi castelli, di cui oggi rimangono solamente poche tracce, appartenevano a Uguccione della Faggiola, celebre condottiero e amico di Dante Alighieri, il Sommo Poeta che a sua volta descrisse il Monte Fumaiolo nel XXVII canto della Divina Commedia come “…il giogo da cui Tever si diserra…”, lasciandoci un indizio importante, se non una prova, del suo passaggio in questi luoghi durante l’esilio, probabilmente ospite temporaneo in uno dei castelli di Uguccione.

Se la presenza di Dante in zona è cosa conosciuta dai più, non molti sanno che tra i tanti visitatori illustri che hanno messo piede sul Fumaiolo c’è stato anche Giosuè Carducci, grande poeta e premio Nobel per la letteratura. “Dovresti vedere per che razza di strade mi tocca cavalcare…”, scriveva il Carducci alla moglie, a sottolineare la difficile ascesa che il poeta dovette affrontare nell’estate del 1867 per raggiungere le sorgenti del Tevere. Arrivato finalmente alla meta dopo una lunga marcia a dorso di mulo da Bulciano, vicino a Pieve Santo Stefano, Carducci vide poco più di un timido rigagnolo che scaturiva tra le radici di un’antica faggeta; un getto d’acqua limpida e pura che usciva da una fenditura sul terreno scosceso. Ma l’emozione del poeta fu forte, perché quel modesto rigagnolo era il Tevere, il fiume sacro per gli antichi romani, ma anche un simbolo di libertà e di unità per gli italiani del risorgimento.

Di ritorno a Bulciano, dove era ospite di amici, sicuramente ristorato dall’aria di montagna e dalla vista di boschi e panorami incontaminati, Carducci scrisse un’ode[1], che affidò metaforicamente al Tevere, per far giungere il suo grido di libertà fino alla Roma dei papi, che egli considerava gli ultimi tiranni in un’Italia da poco unificata.

Adesso, a pochi metri dalla sorgente, campeggia una stele in travertino proveniente dai Fori romani che sorregge un’aquila e tre teste di lupa (sul lato frontale c’erano anche tre fasci romani, poi rimossi nel secondo dopoguerra). Il monumento, inaugurato nel 1934, voleva simboleggiare il legame inscindibile tra la Roma fascista e la sorgente del fiume sacro per la Roma antica. Una scritta sulla stele recita ancora, “Qui nasce il fiume sacro ai destini di Roma”.

Negli anni ’70 del secolo scorso, una piccola lapide è stata apposta di fianco alla stele monumentale. Su questa lapide, come a contrastare l’arroganza dell’aquila rapace, il parallelo tra l’acqua e la libertà ci viene ricordato da una frase del poeta romano Trilussa, “La libbertà d’un popolo è compagna, all’acqua che vié giù de la montagna“.

Raggiungere le sorgenti del Tevere ai giorni nostri è molto più agevole che ai tempi di Giosuè Carducci, ma all’ombra dei faggi che videro riposare l’illustre poeta, la magica atmosfera che pervade il viaggiatore moderno è la stessa di allora. In questo rifugio dell’anima si respira aria di libertà, sorseggiando l’acqua limpida e fredda del Tevere, sotto lo sguardo severo dell’obsoleta aquila fascista e delle lupe, a ricordarci che ogni epoca ha i propri tiranni, e che la libertà è un bene prezioso e insostituibile, come l’acqua che da tempi immemorabili sgorga tra le radici di quei faggi.

Ai turisti e ai viaggiatori odierni, il Fumaiolo offre un lusso sempre più raro per un’umanità eccessivamente urbanizzata; il contatto diretto con una natura incontaminata e la possibilità di respirare aria pura e frizzante in tutte le stagioni dell’anno. Da più di dieci anni, grazie all’estesa rete di sentieri tracciati e mantenuti percorribili dai volontari dell’associazione locale Fumaiolo Sentieri, è possibile addentrarsi in suggestivi boschi apparentemente senza fine, in gruppo o in solitudine, a piedi o in mountain bike, godendo dei benefici scientificamente provati generati dal contatto prolungato con il mondo vegetale. In ogni stagione dell’anno, seguendo in tutta sicurezza le indicazioni presenti sui sentieri, si viene guidati verso luoghi remoti in cui sostare in piena solitudine e tranquillità, oppure si possono raggiungere punti panoramici che permettono allo sguardo di abbracciare tutta la Romagna verso nord, e parte della Toscana e dell’Appennino Umbro-Marchigiano verso sud, dal Monte Amiata ai Sibillini. Non di rado, in special modo dalla Ripa del Monticino nelle limpide giornate invernali, ma non solo, è possibile vedere a occhio nudo le vette delle Alpi del Trentino e del Veneto. Inoltre, soprattutto agli escursionisti silenziosi, può capitare di incrociare alcuni dei tanti animali selvatici che popolano i boschi, i prati e i cieli sopra il Fumaiolo. Gli incontri più frequenti avvengono con caprioli, cinghiali, cervi, poiane e, più raramente, aquile, mentre l’incontro con il lupo, predatore timido e schivo, è riservato ai più fortunati.

Che sia per la gita di un giorno, per un fine settimana o per una vacanza prolungata, il territorio di Verghereto, offre una grande varietà di paesaggi naturali, che vanno dagli estesi boschi del Fumaiolo ai prati e ai pascoli d’altura, dalle suggestive marne di Montecoronaro e Verghereto, alle scoscese falesie rocciose della Moia e della Falera, ritrovo e palestra di rocciatori, dalla maestosa scogliera che sovrasta il paese di Balze, alla stupenda cascata dell’Alferello, a poca distanza dal centro di Alfero.

[1] Agli amici della Valtiberina (Pieve Santo Stefano, 25 agosto 1867), da Giambi ed Epodi.

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